Lo Studio Legale Carsana si occupa di Diritto della Famiglia, intendendo per “famiglia” un concetto sociogiuridico che meglio dovrebbe essere definito dal termine “famiglie”. Lo Studio, ben consapevole delle definizioni giuridiche del nostro ordinamento, del concetto avallato dalla nostra Carta Costituzionale e dal Codice Civile, considera degna di detta definizione, e inquadrabile giuridicamente, ogni aggregazione sociale fondata sul rapporto affettivo dei suoi componenti. Lo Studio si occupa quindi delle famiglie coniugali, di quelle monogamiche, poliginiche, poliandriche, consanguinee, ricomposte, monogenitoriali, omogenitoriali, tanto italiane quanto straniere od in cui uno dei componenti non sia italiano.
In particolare, l’avvocata Carsana e i suoi collaboratori di Studio, determinando il regime giuridico applicabile, si occupano in ogni sede competente per il caso specifico (Tribunale dei Minori, Tribunale Ordinario, Comune, Procura, Prefettura) di:
Dal punto di vista penalistico, lo Studio si occupa in particolare di:
Si osservi che, secondo l’avvocata Carsana, ex art. 29 della Costituzione, sostenere che la famiglia sia una società naturale come preesistente al mondo giuridico, ma al contempo “fondata” sul "matrimonio" è ritenere, qualora si insista su di una lettura formale e non evolutiva della norma, elementi tra loro ossimorici.
Il matrimonio è infatti una tipica organizzazione convenzionale regolata dalla norma vigente e non certo un costrutto di tipo naturale preesistente alla norma stessa.
Detta considerazione è perfettamente in linea con gli insegnamenti della Corte Costituzionale.
Se da un lato il matrimonio è un istituto giuridico che prevede, un dettagliato ordine di obblighi e di diritti reciproci (ex art 143 c.c. e ss) ed è frutto di una scelta, detti obblighi e diritti sono tipici per quell’istituto e dunque limitatamente estensibili ad altre formazioni sociali.
Ma se il matrimonio è un tipico atto volontario che non costituisce la "società naturale", ma che serve a scegliere obblighi e diritti che regolano l’unione, la "società naturale" determina fondamentali e regolati riflessi giuridici in presenza di figli.
In tutti questi casi, quando cioè l’orizzonte affettivo di una coppia include la procreazione, l’affido, la crescita ed il mantenimento di un figlio o di una figlia, il concetto di famiglia torna a rivivere nel suo significato pieno.
Lo Studio offre assistenza per l’ottenimento della separazione personale e per la pronuncia del divorzio fra i coniugi.
Lo Studio, in primis, in un’ottica di risparmio economico e minor sofferenza emotiva del Cliente, promuove la separazione consensuale ed il divorzio congiunto: in tali casi lo Studio può assistere entrambi i coniugi o collaborare utilmente con il Collega avversario per una soluzione rapida e cautelativa degli interessi del coniuge e dei figli coinvolti nel procedimento. Ciò, eventualmente, altresì facendo ricorso alla procedura di negoziazione assistita.
Nella denegata ipotesi che non vi sia accordo, lo Studio rappresenta il Cliente nella procedura separativa e divorzile anche in sede giudiziale, affiancando l’Assistito nel superamento di ogni fase processuale da affrontarsi.
La pronuncia della separazione personale richiede quale presupposto, ai sensi dell’art. 151 c.c., la sussistenza di fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio all’educazione della prole. Con la pronuncia della separazione il Cliente non perde lo status di coniuge: il matrimonio, semplicemente, entra in una fase di sospensione.
Con il divorzio (che può essere richiesto una volta decorsi sei mesi dalla separazione consensuale o un anno dalla separazione giudiziale), il Cliente ottiene invece lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio: marito e moglie perdono lo status di coniugi e possono contrarre nuove nozze. Vengono inoltre meno i diritti e gli obblighi discendenti dal matrimonio (artt. 51, 143, 149 c.c.), la comunione legale dei beni ai sensi dell'art. 191 c.c. (già sciolta all’udienza presidenziale di separazione ove non si adisca al divorzio in via diretta nei casi previsti dalla legge), la destinazione del fondo patrimoniale e la partecipazione all'impresa familiare (art.230 bis c.c.). La donna perde il cognome del marito e gli ex coniugi perdono il diritto reciproco all'eredità legittima.
In entrambe le circostanze lo Studio offre la propria competenza sia rispetto alle questioni patrimoniali (assegnazione della casa coniugale, assegno di mantenimento, regolamentazione divisione delle società/imprese possedute con o per il tramite del coniuge), sia rispetto alle più delicate questioni relative all’ affidamento dei figli.
Due persone di ugual sesso, con l’entrata in vigore della Legge Cirinnà (legge n. 76 del 2016), possono conferire in un’unione stabile una comunione di vita spirituale e materiale di fronte a un ufficiale di stato e alla presenza di due testimoni. La loro unione civile verrà registrata nell’apposito archivio dello stato civile.
L'unione civile si scioglie in caso di morte di una delle parti ed altresì nei casi previsti dall'articolo 3, numero 1) e numero 2), lettere a), c), d) ed e), della legge 1° dicembre 1970, n. 898.
Al pari del matrimonio, l'unione civile si può sciogliere anche per volontà di una o di entrambe le parti. Chi ha intenzione di procedere allo scioglimento dell’unione civile deve innanzitutto manifestare la propria volontà dinanzi all’ufficiale dello stato civile. Tale dichiarazione non ha effetti dissolutivi di per sé, ma è il presupposto necessario per poter poi presentare, decorsi almeno tre mesi, l’effettiva domanda di scioglimento. Quest’ultima può essere proposta in via giurisdizionale (con proposizione della domanda di divorzio congiunto o contenzioso) oppure in via stragiudiziale (in forma di negoziazione assistita o di scioglimento dell’unione davanti al Sindaco quale ufficiale dello stato civile). In entrambe le circostanze lo Studio offre la propria competenza al Cliente per valutare le possibili conseguenze dello scioglimento dell’unione civile, rappresentandolo o affiancandolo nelle diverse procedure.
La Legge Cirinnà ha altresì disciplinato i rapporti di convivenza fra due persone, di ugual o diverso sesso, unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un'unione civile precedentemente stipulata.
I conviventi possono disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune con la sottoscrizione di un "contratto di convivenza", redatto in forma scritta a pena di nullità, con atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvocato.
Lo Studio fornisce la competenza necessaria per la redazione di un valido contratto di convivenza, offre assistenza per l’eventuale sua risoluzione e garantisce la professionalità per valutare tutte le possibili conseguenze dello scioglimento della convivenza.
Il concetto di “responsabilità genitoriale” (ex potestà genitoriale) comprende l’insieme dei diritti e dei doveri che spettano ai genitori nei confronti dei figli. Di regola la responsabilità genitoriale è esercitata da entrambi i genitori, i quali sono chiamati a concertare fra loro le decisioni di maggiore interesse per la prole relative all’istruzione, all’educazione e alla salute, tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli.
Fra genitori possono insorgere controversie in merito al concreto esercizio della responsabilità genitoriale. Ciò può accadere sia nella famiglia unita, sia nel nucleo familiare scisso a seguito di separazione, divorzio o cessazione della convivenza. In entrambi i casi lo Studio Legale Carsana offre assistenza e tutela al Cliente, favorendo un accordo stragiudiziale con l’altro genitore oppure, se necessario, intraprendendo i procedimenti previsti dalla legge, quali:
La legge 10.12.2012 n° 219 (cd. Riforma sulla filiazione) ha modificato il codice civile e le disposizioni per l'attuazione del codice civile in materia di responsabilità genitoriale e di filiazione.
In particolare, la riforma è intervenuta sullo stato giuridico dei figli precisando che “tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico” (art. 315 c.c.), siano essi nati all’interno del matrimonio o di una convivenza oppure adottati, e hanno pari diritti ad essere mantenuti, istruiti, educati ed assistiti moralmente (art. 315 bis c.c.). Nel codice civile, pertanto, le locuzioni «figli legittimi» e «figli naturali», ovunque ricorressero, sono sostituite dalla parola «figli».
Quando un figlio viene concepito o nasce durante un matrimonio, si presume che egli sia figlio del marito (cd. Presunzione di paternità). Tuttavia, in presenza di alcuni presupposti (assenza o impotenza del presunto padre oppure adulterio della moglie), il padre, la madre oppure il figlio possono esercitare azione di disconoscimento di paternità.
Diversamente, il figlio che nasce fuori dal matrimonio può essere riconosciuto dai genitori. Qualora ciò non avvenga, il padre, la madre oppure il figlio possono proporre domanda per la dichiarazione di paternità o di maternità nei confronti del presunto genitore o, in sua mancanza, nei confronti dei suoi eredi. La prova della paternità e della maternità può essere data con ogni mezzo.
Lo Studio legale Carsana si preoccupa di far riconoscere o di disconoscere il legame di parentela, sussistendo i requisiti sopra menzionati.
L’art. 317 bis c.c., così come modificato dalla l. 219/2012, prevede che i nonni abbiano diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni. Nel caso in cui l’esercizio di tale diritto venga impedito, gli ascendenti possono agire in giudizio affinché siano adottati i provvedimenti più idonei nell'esclusivo interesse dei minori.
Anche gli artt. 1 e 2 del Regolamento CE 2201 del 2003, direttamente applicabile anche in Italia, prevedono il diritto di visita dei nonni nei confronti dei loro nipoti.
Tale regolamento dell’Unione Europea è stato oggetto di contesa nella causa Neli Valcheva contro Georgios Babanarakis, in cui si è discusso sull'interpretazione del regolamento citato.
Nella vicenda in esame la sig.ra Neli Valcheva, residente in Bulgaria, opponeva al suo ex genero, il sig. Georgios Babanarakis, cittadino Greco, il proprio diritto di visita nei confronti del nipote.
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con interpretazione autentica, ha ribadito che in ragione del superiore interesse del minore, ed in particolare al criterio di vicinanza parentale, i nonni devono avere diritto di visita autonomo nei confronti dei propri nipoti.
Afferma la Corte:
A) Il regolamento n. 2201/2003 non precisa se la nozione di «diritto di visita», definita all'articolo 2, punto 10, del regolamento stesso, comprenda o meno il diritto di visita dei nonni.
B) Tale nozione deve essere interpretata in maniera autonoma, tenendo conto del suo tenore letterale, dell'economia generale e degli obiettivi del regolamento n. 2201/2003, alla luce in particolare dei lavori preparatori di quest'ultimo, nonché di altri testi normativi del diritto dell'Unione e del diritto internazionale.
C) Tale definizione non stabilisce alcuna limitazione riguardo alle persone che possono beneficiare del suddetto diritto di visita, dunque non esclude espressamente i nonni.
D) Al fine di stabilire se i nonni rientrino nel novero delle persone contemplate dalla definizione sopra riportata, occorre tener conto dell'ambito di applicazione del regolamento n. 2201/2003, così come precisato all'articolo 1, paragrafo 1, lettera b), di quest'ultimo, a norma del quale tale regolamento si applica all'attribuzione, all'esercizio, alla delega e alla revoca totale o parziale della responsabilità genitoriale.
E) La nozione di diritto di visita, alla luce di quanto sopra, contenuta all'articolo 1, paragrafo 2, lettera a), e all'articolo 2, punti 7 e 10, del regolamento n. 2201/2003, deve essere intesa come riguardante non soltanto il diritto di visita dei genitori nei confronti del loro figlio minore, ma anche quello di altre persone con le quali è importante che tale minore intrattenga relazioni personali, segnatamente i suoi nonni, a prescindere dalla titolarità o meno in capo ad essi della responsabilità genitoriale.
Da tutto quanto sopra ne consegue che una domanda dei nonni volta ad ottenere il riconoscimento in capo ad essi di un diritto di visita nei confronti dei loro nipoti ricade sotto l'articolo 1, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 2201/2003 e, di conseguenza, nell'ambito di applicazione di tale regolamento, è del tutto legittima e motivata anche ai sensi del Regolamento 2201/2003 ed anche ove non lo preveda esplicitamente uno stato membro.
La pronuncia dell'Unione Europea è quindi particolarmente importante perché sancisce in capo ai nonni un vero e proprio diritto soggettivo a tutela dell'interesse del minore a “crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti”, sancito espressamente dall’art. 315 bis del codice civile italiano.
Lo Studio legale offre consulenza ai nonni e a quei parenti che hanno subito, per il comportamento di uno o di entrambi i genitori, una limitazione al proprio diritto di visita e frequentazione.
Per procedere all’adozione nazionale di un minore sono necessari due presupposti:
• la dichiarazione dello stato di abbandono del minore (cd. Dichiarazione di adottabilità);
• l'idoneità dei coniugi ad adottare.
Competente a emettere entrambi i provvedimenti è il Tribunale per i Minorenni nel cui distretto si trova il minore abbandonato. Il Tribunale per i Minorenni, sulla base delle indagini effettuate, sceglie tra le coppie che hanno presentato domanda quella più idonea per il minore.
La dichiarazione di adozione vera e propria è preceduta da una fase di affidamento preadottivo e, una volta intervenuta, spezza ogni vincolo di parentela fra il minore e la sua famiglia biologica, conferendo al bambino lo stato di figlio legittimo degli adottanti.
Lo Studio affianca i coniugi dal momento della presentazione della domanda di disponibilità all'adozione, verificando con loro i requisiti di cui all'art. 6 della Legge n. 184/83, all'accertamento sulla capacità, e anche durante l'affidamento preadottivo.
Analoga assistenza viene offerta per la procedura di adozione internazionale di minori stranieri, disciplinata dagli artt. 29 e ss. della Legge n. 184/83, nonché nei casi di adozione in casi particolari prevista dall’art 44 della medesima legge.
Lo Studio offre inoltre consulenza ed assistenza nei casi di adozione di persone di maggiore età, istituto con finalità solidaristiche previsto dal Codice Civile agli artt. 311 e ss.
Interdizione, inabilitazione e amministrazione di sostegno sono tre istituti a tutela dei soggetti cd. “deboli”.
L’amministrazione di sostegno è stata introdotta dalla Legge n. 6 del 9 gennaio 2004: l'amministratore di sostegno è una figura che nasce per affiancare i soggetti privi (in tutto o in parte) di autonomia, limitandone il meno possibile la capacità di agire con interventi di sostegno temporaneo o permanente.
L'amministrato conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l'assistenza necessaria dell'amministratore di sostegno, i cui limiti e i cui poteri vengono definiti con intervento del Giudice.
L'interdizione, di contro, limita totalmente la capacità di agire ed è rivolta a quei soggetti maggiorenni che si trovano in condizioni di abituale infermità di mente, che li rende incapaci di provvedere ai propri interessi, o quando ciò sia comunque necessario per assicurare loro adeguata protezione.
L'inabilitazione, invece, riguarda l’infermo di mente il cui stato non è talmente grave da dar luogo a interdizione. Può essere inabilitato anche colui che, per prodigalità o per abuso di bevande alcoliche o di stupefacenti, espone sé o la sua famiglia a gravi pregiudizi economici. Può essere altresì inabilitato il cieco o sordomuto dalla nascita del tutto incapaci di provvedere ai propri interessi.
Di regola il tutore (per l’interdizione), il curatore (per l’inabilitazione) e l’amministratore di sostegno vengono scelti nello stesso ambito familiare dell’assistito. Più precisamente, possono essere nominati: il coniuge, purché non separato legalmente, la persona stabilmente convivente, il padre, la madre, il figlio o il fratello o la sorella, e comunque il parente entro il quarto grado. In ogni caso la scelta viene compiuta tenendo conto dell'esclusivo interesse del beneficiario.
L’interdizione, l’inabilitazione e l’amministrazione di sostegno possono essere richieste:
In linea generale il procedimento per l'amministratore di sostegno è più snello degli analoghi iter di interdizione e inabilitazione. Per questo ricorso non è prevista, a differenza delle altre due procedure, l'obbligatorietà dell'assistenza di un legale.
Lo Studio può offrire consulenza al Cliente anche rispetto alla redazione del suo testamento.
Ciò al fine di essere certi di costituire un istituto giuridico pienamente valido ed efficace ed evitare il timore di fraintendimenti rispetto alle proprie ultime volontà.
Il testamento è infatti un atto personalissimo con cui il de cuius dispone delle proprie sostanze per il tempo in cui avrà cessato di vivere. Può essere revocato o modificato in qualsiasi momento con la redazione di un nuovo testamento che espressamente revochi quello precedentemente redatto, oppure che preveda disposizioni del tutto o in parte incompatibili con il testamento precedente.
La legge prevede tre tipi di testamento: olografo, segreto e pubblico.
Lo Studio si occupa anche di valutare, nell’ambito delle esigenze del Cliente, la possibilità di costituire una sostituzione fedecommissaria.
Con il sostituto fedecommissorio assistenziale il testatore istituisce erede o legatario un successore determinato dalla legge con l’obbligo di conservare il patrimonio che andrà, alla morte di quest’ultimo, ad un sostituto.
In sostanza all'istituito (che potrà essere un soggetto interdetto, figlio o discendente piuttosto che coniuge del testatore) viene imposto l'obbligo di conservare i beni e di restituirli al sostituto (persona o ente che abbia avuto cura dell'interdetto) senza che il primo abbia alcun obbligo di testare a favore del secondo, perché questi succederà direttamente al “de cuius” originario che aveva disposto la sostituzione fedecommissaria assistenziale.
L’istituito fedecommissario opera nei confronti dell’intero patrimonio (estendendosi quindi anche alla quota di riserva) ma può essere esclusivamente disposto per un soggetto interdetto, o da interdire, e il sostituto può essere esclusivamente la persona o l'ente che, sotto la vigilanza del tutore (se l’istituito è già interdetto), di esso avrà cura.
L’istituito ha il godimento e la libera amministrazione dei beni che formano oggetto della sostituzione in maniera analoga rispetto all’usufruttuario, tant’è che all’istituito, in quanto applicabili, sono comuni le medesime norme (art. 693 c.c.).
Lo Studio offre inoltre consulenza ad assistenza in materia di successione legittima (secondo la legge, in mancanza di testamento) e di successione necessaria. In quest’ultimo caso, lo Studio tutela i diritti del proprio Cliente, ove leso nella propria quota di legittima, proponendo le opportune azioni di riduzioni ex artt. 554 e 555 c.c.
Lo Studio, già prima dell’entrata in vigore della Legge sulle DAT (Disposizione Anticipate di Trattamento), riteneva che l’unico modo per affidare le proprie volontà di fine vita in caso di malattia o infortunio invalidante fosse il conferimento di incarico ad un amministratore di sostegno con mandato all’uopo preparato.
Chiunque voleva evitare su di sé forme di accanimento terapeutico, pertanto, poteva designare, con atto pubblico o scrittura privata autenticata, un amministratore di sostegno e ricorrere al Giudice Tutelare per farsi accogliere la richiesta.
Lo Studio si è fatto portatore di dette istanze in linea con diversi recedenti giurisprudenziali (Tribunale di Modena, decreto del 13 maggio 2008; Tribunale di Modena, decreto del 5 novembre 2008; Cass., 16 ottobre 2007, n. 21748; Cass., 15 settembre 2008, n. 23676; Cass., 16 ottobre 2007, n. 21748; Corte cost., sentenze n. 258 del 1994 e n. 118 del 1996), e con riferimenti normativi importanti (l’art. 32 della Costituzione Italiana, la Convenzione per la protezione dei Diritti dell'Uomo e della dignità dell'essere umano nei confronti dell'applicazioni della biologia e della medicina, l’art. 9 del Consiglio d'Europa 4 aprile 1997, il Codice di Deontologia Medica e la Convenzione di Oviedo).
Il 31 gennaio 2018 è finalmente entrata in vigore la Legge 22 dicembre 2017, n. 219 (“Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”), c.d. Legge sul Testamento Biologico o Biotestamento. Grazie a tale legge, ognuno di noi può oggi decidere anticipatamente quali trattamenti sanitari intende accettare o rifiutare: per tal motivo ha il diritto di conoscere adeguatamente le proprie condizioni di salute, la diagnosi, la prognosi, i benefici e i rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari.
Ciascuno di noi ha il diritto indicare i familiari o una persona di fiducia incaricata di ricevere le “Direttive Anticipate di Trattamento” (“DAT”) e di esprimere il consenso a detti fatti; ciascuno di noi ha il diritto di rifiutare qualsiasi accertamento diagnostico, ivi compresi la nutrizione e l’idratazione artificiale.
Lo Studio fornisce assistenza nella redazione delle DAT in previsione di una possibile futura incapacità di autodeterminarsi. Le DAT devono essere redatte con atto pubblico, con scrittura privata autenticata oppure con scrittura privata consegnata personalmente presso l’ufficio dello stato civile del comune di residenza, che provvede all’annotazione in apposito registro (ove istituito). Non è necessaria la presenza di un avvocato.
Lo Studio è in grado di realizzare un negozio giuridico, valido sino ad un tempo massimo di 90 anni o legato alla vita del beneficiario dell’atto, e che sia destinato a vincolare un bene immobile o un bene mobile registrato ad una destinazione meritevole di tutela.
Detto atto di destinazione da un lato limita la possibilità del disponente di godere pienamente del bene, dall’altro limita i creditori generici del disponente, i quali non possono rivalersi sui beni destinati.
Beneficiari tipici del vincolo sono, tra gli altri, il convivente more uxorio, un parente diversamente abile, un qualsiasi soggetto terzo cui si è legati da un vincolo affettivo.
Il vincolo di destinazione deve rispondere a “interessi meritevoli di tutela”: con tale espressione si indicano, a mero titolo esemplificativo, i bisogni della famiglia (arg. art. 170 cod. civ.), piuttosto che l’avviamento ad una professione o ad un’arte (arg. art. 699 cod. civ.). Certamente meritevole di tutela è il mantenimento della qualità della vita del proprio beneficiario. Detto istituto giuridico è particolarmente utile per tutelare gli interessi delle coppie di fatto.
L’articolo 342 ter c.c. prevede che, in caso di convivenza, qualora uno dei due coniugi o conviventi metta in atto una condotta gravemente pregiudizievole all’integrità fisica o morale dell'altro, su istanza di parte il Giudice possa emettere un ordine di protezione con decreto motivato immediatamente esecutivo.
In caso di urgenza, l’ordine di protezione può essere assunto dopo sommarie informazioni, con successiva udienza di comparizione delle parti entro un termine non superiore a quindici giorni.
Il giudice, ex art 342 bis c.c., ordina al convivente reo della condotta pregiudizievole la cessazione della condotta e ne dispone l'allontanamento dalla casa familiare, e può in via accessoria:
- prescrivere all’autore della condotta di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla vittima (in particolare il luogo di lavoro, il domicilio della famiglia d'origine, di altri prossimi congiunti o altre persone ed in prossimità dei luoghi di istruzione dei figli della coppia, salvo che questi non debba frequentarli per esigenze di lavoro);
- chiedere l'intervento dei servizi sociali, di un centro di mediazione familiare o di associazioni per il sostegno e l’accoglienza di donne, minori o di vittime di abusi e maltrattamenti;
- disporre il pagamento periodico di un assegno, anche detraendolo direttamente dallo stipendio dell'obbligato.
La durata dell'ordine di protezione non può essere superiore a un anno e può essere prorogata, su istanza di parte, soltanto se ricorrono gravi motivi.
Lo Studio assiste il Cliente nella redazione del ricorso al fine di valutare ogni e più ampia misura da adottare in ogni sede (anche penale, ove le circostanze lo richiedessero) per ottenere una misura efficace e immediata di protezione.
La Suprema Corte ha definito il reato di maltrattamenti in famiglia come una ipotesi di reato necessariamente abituale, costituito da una serie di fatti, commissivi ma anche omissivi, che acquistano rilevanza penale per la loro reiterazione nel tempo. Sono fatti singolarmente lesivi dell'integrità fisica o psichica del soggetto passivo, i quali non sempre, singolarmente considerati, configurano ipotesi di reato, ma valutati nel loro complesso devono integrare, per la configurabilità dei maltrattamenti, una condotta di sopraffazione sistematica e programmata tale da rendere la convivenza particolarmente dolorosa (Sez. III, 16 maggio 2007 n. 22850).
In sostanza, comportamenti abituali caratterizzati da una serie indeterminata di condotte assillanti e prevaricatrici configurano il reato di maltrattamenti quando «tali condotte, costantemente ripetute, evidenziano l'esistenza di un programma criminoso diretto a ledere l'integrità morale della persona offesa, di cui i singoli episodi, da valutare unitariamente, costituiscono l'espressione ed in cui il dolo si configura come volontà comprendente il complesso dei fatti e coincidente con il fine di rendere disagevole e per quanto possibile penosa l'esistenza del coniuge» (Sez. VI, 28 dicembre 2010 n. 45547).
Il dolo dei maltrattamenti in famiglia è, quindi: a) «generico, sicché non si richiede che il soggetto attivo sia animato da alcun fine di maltrattare la vittima, bastando la coscienza e la volontà di sottoporre la stessa alla propria condotta abitualmente offensiva» (Sez. VI, 22 ottobre 2010, n. 41142); b) «unitario, in quanto l'intenzione criminosa dell'agente si pone come elemento unificatore dei singoli atti vessatori»
Lo Studio, con le proprie penaliste, affianca la vittima di maltrattamento o stalking per tutto l'arco del processo, anche avvalendosi dell'aiuto della consulenza psicologica di professionisti formati ad hoc.
L’art. 570 c.p. prevede che il reato possa configurarsi con tre condotte tipiche:
1) l’abbandono del domicilio domestico o l’assunzione di altra condotta contraria all’ordine e alla morale delle famiglie, condotte che determinano la violazione dell’obbligo di assistenza inerente alla potestà dei genitori o alla qualità di coniuge (art. 570, co. 1);
2) la malversazione o dilapidazione di beni del figlio minore o del coniuge da parte del genitore o dell’altro coniuge (art. 570, co. 2, n. 1 c.p.);
3) la mancata somministrazione dei mezzi di sussistenza a discendenti minorenni, inabili al lavoro, agli ascendenti ovvero al coniuge (art. 570, co. 2, n. 2 c.p.).
Attraverso detta norma, poiché essa "indica come oggetto di repressione una condotta indifferenziata rispetto al numero ed alla qualità dei soggetti lesi" il legislatore, non considerando singolarmente le posizioni degli individui, difende il complesso di obblighi che fa capo alla famiglia come entità distinta dai suoi componenti” (Cass. Pen., sez. VI, sentenza 14 gennaio 2004, n. 1251).
Sicché “configura una pluralità di reati l’omessa somministrazione di mezzi di sussistenza nell’ipotesi in cui la condotta sia posta in essere nei confronti di più soggetti conviventi nello stesso nucleo familiare” (Cass. Pen., SS.UU., sentenza 26 febbraio 2008, n. 8413).