L'avvocata Carsana ha partecipato in qualità di relatrice al corso "Violenza di genere: profili giuridici e psico-sociali"presso l'Università degli Studi di Bergamo, tenuto a cura delle docenti Barbara Pezzini e Anna Lorenzetti nel Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza.
Intervento 25 novembre 2017
Il tema che mi è stato assegnato involge il fenomeno dell’emergenza numerica in ordine alla violenza di genere.
In particolare mi è stato richiesto di verificare se vi sia un’emergenza e da che numeri sia confortata.
Una possibile strada di analisi di una questione così posta vorrebbe che io verificassi in un arco cronologico prestabilito un eventuale crescendo di casi di violenza verificando se negli ultimi tempi vi sia un’ impennata particolare, provando poi a chiedersi il perché ed il come di tale picco.
Ebbene, io mi scuso anticipatamente con chi si aspetta uno snocciolare di numeri, e un’ indicazione puntuale di dati statistici.
Non perseguirò affatto questa strada nel tempo assegnatomi.
Certo qualcosa sui dati lo vedremo insieme ma cio’ che oggi mi preme rilevare con voi è un’ analisi diversa, lasciata talvolta sottesa o del tutto non affrontata se non in dibattiti accademici, non di portata immediatamente divulgativa e che, spero, (quantomeno questo è il mio intento), ci permetterà alla fine di analizzare la “questione numerica” con un taglio maggiormente critico e forse più consapevole.
L’idea è infatti di partire da un’analisi qualitativa e non quantitativa.
Questo semplicemente per una questione di dovere intellettuale: che senso ha ripeterci un dato che conosciamo oramai tutti nel dibattito pubblico ( e cioè che il 31,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni ha subito violenza sessuale, che senso ha dirci che sono 652 mila le donne che hanno subìto stupri e 746 mila le vittime di tentati stupri) sul fenomeno della violenza di genere nel suo complesso?
La violenza di genere non si manifesta solo con lo stupro e neppure lo stupro esaurisce il fenomeno della violenza sessuale in sé (la nostra giurisprudenza ha riconosciuto violenza sessuale anche in caso di un bacio particolarmente invasivo e su cosa è sessuale per la Cassazione ci sarebbe da dire), inoltre è presumibile un numero oscuro rilevantissimo in ordine ad un tale forma di violenza perché certo non è come denunciare un furto risarcibile a fini assicurativi.
Inoltre si pensi che il fenomeno della violenza fisica ( che comprende la violenza sessuale) che lo ribadisco è una parte e non il tutto della violenza di genere può essere letto in almeno due modi.
Da un lato si può dire che oggi ci sono più denunce di violenze sulle donne perché c’è un numero maggiore di violenze è dunque si è in emergenza numerica ma si puo’ anche dire che cio’ che emerge è che le donne la violenza la sopportano di meno e quindi denunciano di più.
Io credo che possano essere vere entrambe le ipotesi ma studi recenti socio giuridici sul tema non ce ne sono.
Senza dubbio, quindi, i dati ricordati sono di grande peso ma nulla ci dicono sulla violenza psicologica che spesso accompagna la violenza fisica ( se non quando c’è l’omicidio e giusto per dare dati ci sono 61 donne morte dall’inizio del 2017) e dunque non è possibile affrontare il discorso in maniera completa.
Fatta questa premessa ve n’è un’altra da fare.
Mancano dati rigorosi sul fenomeno, tanto a livello nazionale, europeo e internazionale.
Sembra quindi che tutto d’un tratto si sia passati da un silenzio diffuso a una ondata informativa straripante di casi di violenza di genere e di proposte teoriche, a fronte di un’agenda politica costantemente ancorata a misure repressive/punitive e tutto sommato sonnecchiante. Unica certezza che non paga esperienze emergenziali...
Viviamo quindi senza dubbio un momento fortemente confusivo, travolti dalla valanga informativa in cui da un lato i media tradizionali (televisioni e giornali) pressoché quotidianamente segnalano con dovizia di particolari fatti che danno contezza di violenze sessuali tentate o consumate e di omicidi (tutti qualificati indistintamente come femminicidi),
dall’altro lato i nuovi media (i social media per intenderci) stanno dando voce ad interi settori lavorativi che, partendo da esperienze individuali – la prospettiva è quindi invertita rispetto ai media tradizionali- lamentano la presenza di un sistema di potere che parrebbe vivere da moltissimo tempo in stretto connubio con il ricatto sessuale.
E’ di inizio della settimana lo scandalo che occupa principalmente quotidiani americani di scandali nel settore sportivo professionistico delle ginnaste e che vedrebbe coinvolto un medico della squadra nazionale nonché il pubblico je m’ accuse di Lasster, uno dei responsabili della Disney Animation e della Pixar per “abbracci azzardati e commenti non voluti” ( sue testuali dichiarazioni).
Se quindi gli informatori tradizionali, giornali e tv, in particolare, dallo stupro di Rimini in poi hanno acceso i riflettori su violenze efferate consumate anche da stranieri sconosciuti alla vittima, (dando così vita ad un dibattito di sovrapposizione tra violenza di genere e immigrazione, con effetti distorsivi gravissimi) i social media invece sono letteralmente occupati da alcune campagne che nascono per adesione individuale e spontanea, per aggregazione sul tema.
Mi riferisco qui alla notissima campagna #me too che dal mese di ottobre 2017 ha letteralmente occupato i social ed in cui le donne sono state chiamate a raccolta da un’attrice, Alyssa Milano, invitate a scrivere un messaggio in cui ciascuna racconti la propria esperienza individuale siglandola con l’ hastag o con l’indicativo “me too” (anche io), proprio per denunciare di aver subito un abuso o una molestia sessuale.
Diventa quindi una narrazione frequente e ritrovabile costantemente nel settore informazione intesa nella sua completezza di “vecchie e nuove fonti di informazione” la ricorrenza di casi di mobbing, di abusi e di violenza sessuale.
Viene quindi da pensare che si sia in presenza di un’emergenza...
E allora, a questo punto dobbiamo cercare di fare un po’ di ordine e chiederci davvero se sia in atto una questione emergenziale, un problema eccezionale, straordinario, emerso tutto insieme in questi ultimi tempi.
Ma emergenza? I primo luogo allora dobbiamo fare un passo indietro e chiederci innanzitutto che cosa significhi emergenza.
Perché il concetto di emergenza, può essere declinato in due significati:
significa cio’ che emerge da una superficie, un po’ come fosse una punta di un iceberg, un rilievo una sporgenza per intenderci
oppure
e sta anche ad indicare una circostanza grave straordinaria, imprevedibile, eccezionale, una situazione pericolosa contrapposta a qualcosa di strutturale di “normale” in senso statistico di costante.
Ecco se il concetto di emergenza a cui ci ancoriamo per la nostra analisi è relativo a “un qualcosa che emerge” allora forse sì possiamo dire di vivere in un momento emergenziale in tema di violenza di genere: è dalla campagna mondiale “non una di meno” che in Italia nasce ufficialmente nell’ottobre 2016 come movimento di politica dal basso (le sue radici in realtà sono molto meno recenti) che non si vedeva un collettivo così invasivo nello story telling pubblico.
La reazione che attraversa il racconto pubblico della violenza di genere è in corso come un qualcosa che emerge forte in maniera recente e rivoluzionaria.
In questo senso sì, qualcosa di nuovo di fortemente emergenziale si affaccia all’orizzonte: nuove forme di protesta si levano contro la violenza domestica, la violenza patriarcale, contro la violenza economica, contro la violenza dei corpi al di qua e al di là dei confini, corpi che arrivano qui segnati visibilmente, fisicamente della violenza subita.
Questo è un elemento di rottura fortissimo, che emerge in questi nostri tempi ed il cui esito non è ancora dato sapere: se riuscirà a sopravvivere all’ inquinamento mediatico, all’imbarbarimento di un racconto pubblico semplificatorio e massificante e diventerà un propulsore politico, allora c’è da sperare davvero che diventi un vero motore di cambiamento sociale.
E’ del 21 novembre la presentazione del il piano antiviolenza in dodici capitoli del movimento NON UNA DI MENO in cui si articolano le proposte per superare le discriminazioni e le violenze di genere in tutti gli ambiti in cui avvengono a partire dal mondo del lavoro, ma anche nel linguaggio o nell’istruzione, fino ad arrivare a settori come la salute.
Ne ricordo alcuni:
Reddito di autodeterminazione per le donne che decidono di uscire dalla violenza.
Nessun obbligo di denuncia nei pronto soccorso senza il consenso della donna.
Più fondi per i centri antiviolenza.
Garanzia d’indipendenza e laicità dei centri antiviolenza.
Politiche per la genitorialità condivisa come l’estensione dei congedi di paternità a tutte le tipologie contrattuali, non solo nel lavoro subordinato e non solo in presenza di un contratto di lavoro.
Investimenti sulla formazione e su percorsi di educazione nelle scuole e nelle università che mettano in discussione e superino il “binarismo di genere” e gli stereotipi di genere.
Formazione nel mondo del giornalismo e dell’informazione per smettere di rappresentare la violenza di genere come una “emergenza” o un “problema di sicurezza e ordine pubblico”, di indicare le donne come “vittime” e gli uomini maltrattanti come “presi da un raptus”.
Apertura delle case pubbliche della maternità per evitare la violenza ostetrica durante il parto.
Finanziamenti ai consultori per garantire l’accesso alla contraccezione, all’informazione e alla prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili.
Creare una banca dati sulle molestie nei posti di lavoro.
Creare una banca dati per monitorare le differenze di retribuzione salariale.
Creare una banca dati sull’applicazione della legge 194/78 che regolamenta l’interruzione volontaria di gravidanza.
Nel piano antiviolenza hanno un ruolo fondamentale l’ambito lavorativo e le politiche sociali.
Si mette in discussione un modello anche economico basato sullo sfruttamento e sulla precarietà di cui pagano il prezzo soprattutto le donne”
Le proposte articolate da Non una di meno rivendicano un salario minimo universale europeo, Non una di meno chiede che il welfare sia ripensato proprio a partire dalle donne anche con misure economiche di sostegno alle donne che denunciano la violenza:
In questo senso quindi è in atto una vera rivoluzione una vera emergenza: l’Iceberg sta emergendo in tutta la sua ampiezza.
Ma questo è il primo significato di emergenziale: che emerge appunto che si vede, che inizia a farsi vedere come mai prima d’ora non si è visto.
Quindi con buona fondatezza possiamo dire, in questo senso, che il fenomeno della reazione alla violenza in una prospettiva comune, dal basso e con intento rivoluzionario è certamente emergenziale.
Ma se noi analizziamo il secondo significato di emergenziale, peraltro quello più comune quello a cui noi per primi pensiamo quando ci diciamo “attenzione è in corso un’emergenza”, ecco allora il fenomeno in atto, se noi scaviamo un po’ più a fondo, non è una circostanza grave straordinaria, imprevedibile, eccezionale, una situazione pericolosa che è emersa qui e ora, contrapposta a qualcosa di strutturale di “normale” in senso statistico di costante.
Queste voci, se ascoltate in profondità, rendono i contorni di un fenomeno di natura endemica.
Se analizziamo il fenomeno da questo punto di vista, allora non dobbiamo semplicemente contare il numero delle vittime, catalogarle attraverso i dati statistici (che poi qualcuno pur vedremo), per poi predisporre un impianto normativo repressivo più severo.
Se noi andiamo ad analizzare il fenomeno da questo punto di vista noi dovremmo concentrarci su altre questioni.
Ben altri dovrebbero essere i temi da trattare in via d’emergenza sul piano del dibattito pubblico r sull’agenda politica.
Dovremmo NON chiederci quanti stupri ci sono stati quest’anno, ma dovremmo domandarci se ci siano ambiti in cui esiste una relazione di potere talmente gerarchizzata e polarizzata che faccia dello scambio sessuale (pur sulla bocca di tutti) un mezzo di esercizio del potere stesso.
Dovremmo NON chiederci “ma come tutte ora adesso denunciano” anche sottointendendo che in qualche modo ci sia della strumentalizzazione da parte delle donne come se ci fosse un’epidemia di mitomania collettiva, ma dovremmo chiederci perché pur sulla bocca di tutti ( penso al caso Weinsten che tanto ha sollevato scalpore) nessun uomo, pur non partecipante alla relazione dello scambio sessuale, ma essendone a conoscenza, non abbia mai pensato di denunciarlo, dobbiamo chiederci perché sono solo le donne a farlo e perché si pensi che sia un problema solo femminile!
Dovremmo concentrarci ancor prima che sul CONTARE le vittime, su come possa esistere un contesto che rende possibile la “normalizzazione” di un sistema di violenza di genere.
Dovremmo concentrarci sui tassi di recidiva, delle vittime e degli abusanti, da un lato non avendo paura (e uso parole della professoressa Pezzini) dal punto di vista processuale di un doppio binario che inserito nel principio del garantismo, tuteli maggiormente la vittima e parimenti, per quanto riguarda l’autore del reato, non si limiti a proposte unicamente repressive ma anche rieducative non avendo paura della questione del consenso.
Queste sono questioni endemiche, strutturali che sarebbe ora si affrontassero nell’agenda politica del paese.
Se io leggo i dati, spesso disaggregati, sui femminicidi (termine orribile) o sugli stupri, ben poco essi mi dicono di quanto endemica, radicata e diffusa possa essere la violenza di genere nel suo complesso.
Le violenze di natura psicologica e quelle di natura economica spesso non vengono denunciate. Spesso non è neppure condiviso che pagare puntualmente in ritardo un assegno di mantenimento sia una forma di violenza e una forma di violenza particolarmente grave e odiosa se a quella somma di denaro è collegata necessità essenziali: il pagamento della retta della scuola e del muto che la donna ha dovuto anticipare con denari suoi e magari adesso è sprovvista di altro. Questa è una forma di violenza: ma in quanti casi arriva sulle scrivanie dei magistrati?
Questo per dire che se io mi limito a guardare i dati ho senza dubbio alcuni gravi elementi indizianti ma non ho una visione di insieme del fenomeno.
Non solo i dati che noi spesso sentiamo girare e leggiamo sui giornali sono di fonte ISTAT.
In essi leggiamo che
che lo stalking l’84,6% è commesso da autori maschi,
che la violenza sessuale per il 97,3% è commessa da autori maschi che i comportamenti di stalking quando si è adita la prcedura giudiziaria sono cessati nel 59,8% dei casi
che il 62,7% degli stupri è commesso da un partner attuale o precedente.
E che le donne separate o divorziate hanno subìto violenze fisiche o sessuali in misura maggiore rispetto alle altre (51,4% contro 31,5%).
Questi i dati dell’indagine multiscopo sulla “Sicurezza delle donne” condotta dall’Istat con il Dipartimento per le Pari Opportunità presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Se davvero, e adesso chiudo, in tutto questo di emergenza vogliamo [1]parlare, non possiamo mancare di rilevare che i dati che vi sto dando e che circolano sono di fonte Istat e sono stati presentati presentati il 28 marzo 2017 all’interno dell’indagine multiscopo sulla “Sicurezza delle donne” condotta dall’Istat con il Dipartimento per le Pari Opportunità presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
I dati sono del 2014.
Questo significa che per avere dati da fonti pubbliche di natura statistica dovremo aspettare il 2019.
E questa è in tutte quelle che vi ho citato una vera emergenza indicativa: in entrambi i sensi che si vogliano prospettare al termine.
Ci si lamenta a gran voce, citando dati vecchi e non aggiornati che siamo in piena emergenza, salvo poi non assumersi neppure la responsabilità di condurre in via pubblica un’ analisi complessiva quantomeno aggiornata del fenomeno.
Questo è quello che emerge al di là dei numeri che sentiamo ogni giorno: una volontà manifestata ma non realmente condotta a misurare nel suo complesso un fenomeno endemico.
Vi ringrazio.
Avv.Barbara Carsana