Il 27 gennaio 1945, l’Armata Rossa apriva i cancelli di Auschwitz, mostrando al mondo intero l’atrocità del genocidio nazista a danno di Ebrei Europei, Rom, persone con disabilità, oppositori politici, omosessuali, testimoni di Geova, polacchi e prigionieri di guerra.
Motivi strettamente razziali, espresse accuse di essere una minaccia “biologica”, di costituire un peso finanziario per lo Stato o un rischio per la sua incolumità, facevano di tutti gli imprigionati nei campi di sterminio un nemico non solo da uccidere ma da cancellare, letteralmente, dalla storia.
Oggi, 76 anni dopo lo svelamento dell’orrore in cui furono rinvenuti 7000 sopravvissuti in condizioni che poco li distinguevano dai morti, si commemora la giornata del ricordo pubblico del genocidio più spaventoso che la storia occidentale possa annoverare nel suo corso.
Oggi è la Giornata della Memoria.
In un tempo che scorre in fretta, travolto da un incessante flusso di informazioni, l’atto del ricordare è un gesto che richiede la sospensione del presente a favore della riviviscenza del passato, la lentezza della riflessione in luogo del sopravvento del divenire. La memoria diviene quindi il luogo in cui si intrecciano passato e futuro, lo spazio in cui il ricordo intimo di alcuni diventa esperienza di tutti.
Senza memoria, senza un momento di riflessione collettiva, il ricordo personale relega gli accadimenti a meri accidenti, a inciampi incomprensibili, a esperienze individuali ripetibili, anche se orrifiche.
Un passato non svelato, come un campo di concentramento dai muri invalicabili, trascina con sé il presente; la memoria personale lascia echi solo nel cuore di chi ha vissuto lo strazio, ma non diventa monito per il futuro.
Oggi, in un’ Italia largamente percorsa dall’indifferenza verso le offese e gli insulti ai sopravvissuti della Shoa, agli attacchi alle minoranze etniche, agli omosessuali, è più che mai vivo il bisogno di un ricordo pubblico, esplicito, manifesto, per la creazione di una memoria collettiva condivisa.
Diversamente, non coltivando il ricordo pubblico, non facendoci “raccoglitori di perle” della nostra memoria, saremo destinati ad impigliarci nel nostro futuro, magari arrivando a visitare un campo di concentramento con la stessa feroce superficialità con cui visitiamo un luogo qualsiasi e financo a non portare il giusto rispetto, anche in sedi istituzionali, nei confronti di chi della Shoa è un reduce ferito.
Davvero vogliamo un futuro, già così potentemente presente, di tale miseria?
Coltivare la memoria è un dovere civico perché “nessuna verità è più completa della verità della memoria”.
27 gennaio 2021, un altro giorno in cui inciampare sul ricordo.