UNA SPLENDIDA LEGGE. DI MEZZA ETA' E SENZA FIGLI

 

Tra tutti i fatti umani sottoposti alla regolamentazione della legge, la famiglia costituisce un campo di analisi particolarmente interessante perché, proprio nel momento del suo sfaldamento, riemergono le posizioni individuali e i diritti di ogni membro all’interno di essa con tutte quelle conseguenze facilmente immaginabili.

 

La Legge 1 dicembre 1970, 898 pubblicata in GU Serie Generale n. 306  del 3 12 1970, entra ufficialmente nel suo cinquantesimo anno di vita.

 

E’ forse giunto il momento di chiedersi se la ampiamente raggiunta maggiore età (seppur con un’operazione di radicale lifting nel 1987 che l’ha resa più giovane rispetto al suo tempo), non ci obblighi a rivederla in ottica maggiormente adulta e saggia.

 

Pongo, in questo post, un tema a spot che forse meriterebbe l’attenzione normativa di un legislatore maggiormente accorto.

 

Nelle ipotesi di alta e altissima conflittualità, in caso di separazione e divorzio, le nostre norme, dovendo entrare con un’ attenzione speciale nel sacro recinto delle libertà di una famiglia e dei sui individui, rischiano spesso di essere inefficaci: sottodimensionate o sovradimensionate

 

Valga un esempio.

 

In una cornice normativa assente, i minori, all’interno del conflitto agito, rimangono spesso spettatori inerti di fronte a ciò che accade tra i coniugi, schiavi delle versioni del contenzioso che ogni genitore si sente di comunicare, anche in maniera non spuria, al bambino.

 

Più la conflittualità è alta, più gli schieramenti tra le parti si fanno rigidi e le versioni diverse con facili, anche involontarie, strumentalizzazioni da parte dei genitori confliggenti.

 

Il bambino, quindi, nulla sa del processo o cio’ che sa lo conosce dal genitore che in quel momento lo informa.

 

Non varrebbe la pena, oggi,  interrogarci sul fatto che un minore, che ex 315 bis, comma 3, c.c. ove dodicenne o comunque capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano, abbia anche il diritto di conoscere, nei modi e tempi opportuni,  della procedura che influirà così fortemente nella sua vita? Che stabilirà quanti giorni dovrà stare con la mamma o con il papà? Che cosa succederà alle sue frequentazioni parentali con gli ascendenti, con i restanti componenti in caso di una successiva famiglia ricomposta?

 

Come può essere il minore protagonista ascoltato rispetto a qualcosa che non conosce?

 

Possiamo dunque ancora pensare di lasciare il diritto di famiglia solo in mano a Tribunali e ai Giudici che sopperiscono a competenze di altra natura (psicologica, psicopedagogica...) solo con l’esperienza, per quanto spesso dirimente in ragione della sensibilità dei Giudice e degli avvocati coinvolti nel procedimento?

 

Non è forse il caso di pensare a soggetti terzi che coadiuvino, non in ottica di Consulenza Tecnica, ma di facilitatori della conoscenza degli accadimenti, il Giudice in un momento tanto delicato per la famiglia ed in particolare per i soggetti più deboli  e meno rappresentati  in essa?

 

Dopo oltre cinquant’anni, Convenzioni Internazionali e pronunce della Corte Europea dei Diritti Umani che ci sanzionano affinché il nostro ordinamento proceda a dare adeguata tutela ai minori, si crede sia giunto il momento.